Lui l’aveva legata al vecchio radiatore della cantina, buia e odorante di muffa. Le aveva fatto mangiare carne in scatola e cioccolatini avariati. L’aveva terrorizzata con le gabbie dei ratti, col rumore del trapano puntato alle tempie e con le tenebre opprimenti di quella prigione. Davanti a lei si era masturbato fino allo svenimento, ma non l’aveva neanche sfiorata. Non poteva. Non ci riusciva…
Durante i settantatré giorni di prigionia lei ebbe solo un’opportunità, e non se la fece sfuggire. Mentre eseguiva il suo ultimo gioco, gli tolse dalle mani il trapano e senza esitare ridusse in poltiglia la sua faccia.