giovedì 27 agosto 2009

IL PIPISTRELLO E LA LUCERTOLA

Alla fine si sposarono, malgrado tutti dicessero che non avrebbe mai funzionato. A lei piaceva il sole e passava le giornate abbarbicata sul muro, mentre lui se ne stava sotto il tetto a dormire. Poi la notte lui cacciava e lei andava a letto.
Di tempo da passare insieme ne avevano poco, ma il tempo si sa, è un vecchio burlone, e ci sono momenti che durano eternità.
S’incontravano sempre al calar della sera per guardare insieme il tramonto. Poi al mattino lui ritornava con degli insetti prelibati, e facevano colazione ammirando l’alba.
Ebbero un figlio davvero magico; lo chiamarono Drago.

mercoledì 19 agosto 2009

I CAPEZZOLI DELLA VANDA

Fumo entrò nel bar con la sigaretta accesa ma nessuno ci badò, non perché non si rispettassero le leggi, ma perché era Fumo e lui non sentiva seghe.
«Gano, proprio te!»
«Che succede?»
«Nulla… ti volevo solo chiedere… ma è vero quello che si racconta della Vanda?»
«La Vanda?»
«Si, la Vanda…»
«E che si dice della Vanda?»
«Beh, le voci, sai come sono….»
«Vuoi dire che non ci sei mai andato?»
«No…»
«Non ti sei perso poco…»
«Allora è vero?»
«Cosa? I capezzoli?»
«Eh…»
«Miele di montagna con una punta di magnolia….»
«Ma va, dai!»
Le leggende vanno sapute coltivare.

IL CASO LESTER ROBERTS

Lester Roberts, il caso più assurdo che mi sia mai capitato!
C’era qualcosa di strano nel rapporto dell’autopsia. Lo dissi al tenente, ma lui mi guardò sbieco. “Vai a farti fottere, Morgan!”
Ma insistetti su quella strada, perché sentivo che era quella giusta.
Dopo quattro giorni di menate burocratiche riesumarono il corpo. Quando aprirono la bara ero lì, come un bimbo davanti a un uovo di cioccolato.
“Che diavolo ti aspetti di trovare?” domandò il sergente.
“Questo!” risposi io, indicando alcuni graffi sotto il coperchio.
Lester Roberts, sepolto vivo per l’errore di un dottore, aveva inciso il nome del suo assassino.

lunedì 17 agosto 2009

CLICK

Click! Continuavo a scattare, perché non riuscivo proprio a crederci. Le foto mi hanno sempre aiutato a fare i conti con la realtà. Click!
Lei, lui, la panchina del parco, la donna dei piccioni, i bimbi col pallone, i raggi di sole attraverso le larghe foglie dei platani. Click!
Spinsi al massimo il teleobbiettivo. La vidi ridere attraverso i mille riflessi del corpo macchina. Click! Una carezza fugace, un bacio sfiorato. Click!
Insieme, mano nella mano, lasciarono la panchina.
Dov’erano diretti, mi chiesi. Una camera d’albergo oppure a casa di lui?
Click! Ma ormai neanche lo zoom riusciva più ad afferrarla.

venerdì 7 agosto 2009

LUCY

Non avevo mai creduto al diavolo, almeno fino al giorno in cui la lasciai. Lucy si chiamava. Come le altre incominciò a tormentarmi con gli sms.
“Usciamo domani?”
“Dove sei?”
“Chiamami!”
A me ne bastò uno per chiudere il discorso. “È stato bello, piccina…”
Ma ero io l’illuso.
Venne a trovarmi in sogno, accompagnata dal demonio. Mi disse che se non tornavo da lei potevo dire addio alla mia anima. Anche se non frequento le chiese alla mia anima ci tengo…
Come è finita? Splendidamente!
Ci siamo sposati, abbiamo due bellissimi figli e un mutuo da saldare in vent’anni.
Maledetto demonio!!!

mercoledì 5 agosto 2009

IL VENTO

Sulle colline sopra la città, agli inizi di un tiepido ottobre, un uomo e un bambino camminavano tenendosi per mano. D’un tratto il bimbo si fermò.
«Ascolta…»
«Che c’è, piccolo?»
«Lo senti?»
«Che cosa?»
«Il vento. Riesci a sentirlo?»
L’uomo ascoltò, o forse, per fare contento il bimbo, fece solo finta di ascoltare.
«Io non sento niente…»
«Come non senti niente?»
«Ma cosa dovrei mai sentire?»
«Il vento.»
«Ah, il vento. Certo, quello lo sento anch’io.»
Il bambino volse lo sguardo all’adulto, incrociò le braccia e corrugò la fronte.
«Lo senti davvero?» domandò ancora.
Ma l’uomo non seppe più cosa rispondere.

martedì 4 agosto 2009

RAGAZZA REVOLVER

«Quanto mi rimane?»
«Dipende…»
«Dipende da cosa?»
«Da quanto ci sai fare…»
Il suo corpo asciutto, perfetto, si mosse sopra il mio come quello di un insetto. Il revolver, enorme e stretto con forza nella mano destra, sembrava un appendice del suo braccio. Ogni movimento faceva si che le corde che mi tenevano legato al letto mi tagliassero ulteriormente i polsi e le caviglie.
«Riesci a rimanere duro?» sussurrò lei, infilandomi la canna in bocca.
Chiusi gli occhi. La sentivo dimenarsi come una mantide religiosa.
Attesi il bang, ma arrivò il suo urlo di piacere.
Se ne andò regalandomi un bacio.